Un tempo un arco divideva il paese di Firmo in due: Firmo Superiore e Firmo Inferiore. Il principe P.A. Sanseverino, che aveva la signoria di Altomonte, nella cui giurisdizione era allora incluso, verso l’anno 1480 lo condusse agli esuli albanesi che allora erano giunti in Calabria.
Ma in seguito alla disgraziata congiura dei Baroni, cui i Sanseverino parteciparono, il Re Ferdinando I, noto anche con il nome di Ferrante, come dice Antonio Scura, spogliò quei nobili dei loro beni e affidò la giurisdizione di Firmo ai Domenicani di Altomonte, i quali nel 1486 stipularono, con detti Albanesi, una Costituzione o Statuto.
La tassazione che veniva imposta era, nel 1545, di 42 fuochi, di 23 nel 1585 (sic) e quindi di 65 nel 1559 (sic); cosicché quasi certamente Firmo, fino al 1700 non superò mai il numero di 1000 abitanti.
Firmo Inferiore, costruita dai profughi albanesi, fu dal suddetto Ferdinando I, nel 1486, dato in signoria del Convento di San Domenico dei Predicatore di Altomonte. A detta del Dorsa, i capitoli che i coloni redassero con il priore del citato convento, risalgono sin dal 1486, ma lo Zingari dubita del testo dei capitoli (che non ha letto) e del privilegio aragonese che si disse smarrito. Tuttavia i Padri Domenicani continuarono egualmente ad esercitare la giurisdizione.
Firmo Superiore, invece, che faceva parte della contea di Altomonte, venne da Berardino Sanseverino, principe di Bisignano, concesso al conte Alessio Greco, venuto da Costantinopoli, il quale, ci informa il Rodotà, sollecitato dal principe a costruirvi edifici di cui fosse il padrone assoluto, concepì di accettare l’offerta del signore; ma solo il figlio suo, Cesare, potè portare a compimento il disegno paterno, cosicché nel 1548 diede luogo alle prime costruzioni di Firmo Superiore.
La vita della comunità, che andò sempre espandendosi, fu spesso turbata da frequenti contese con il clero latino, tanto che il 1° settembre 1681, la S. Congregazione dell’Immunità decise, nella disputa sorta tra i Domenicani e i sacerdoti coniugati, che questi continuassero a godere delle esenzioni fiscali, cui i Domenicani volevano obbligarli. Senonché, dopo sedici anni, i Padri Domenicani, non soddisfatti dalla precedente sentenza, ricorsero nuovamente al giudizio della Congregazione, che nel 1698, decise ancora una volta a favore dei coloni albanesi. Nel 1716, i conventuali vennero nuovamente umiliati nelle loro pretese allorché presero a pretesto, per rinnovare le loro richieste, l’ignoranza e la scarsezza di numero dei sacerdoti albanesi e la grande superstizione imperante nei cuori dei discendenti di Skanderbeg. Le vittorie di questi furono per gran parte dovute all’appoggio che dava loro il Vescovo di Cassano allo Jonio, il quale arrivò a denunciare al S. Uffizio le violenze che i Domenicani usavano ai danni degli albanesi; per cui si ebbe che l’ordinario diocesano «inviget et curet, ne aliquid innovetur circa ritum graecum huc usque servatum a clero e populo Firmi» e s’impose al generale dei Domenicani «ut mandet priori et fratribus conventus S. Dominici de Altomonte, ne auderent unquam turbare observantiam ritus graeci praefati populi et cleri; et multo minus violentiam inferreut consentiant in petitione, ad finem impetrandi ab hac ongregatione licentiam transeundi ad ritum latinum; quia numquam obtinebunt illum; violentiam inferentes graviter punientur».
Annamaria Saccomanno
dalla tesi di laurea “Firmo e le sue tradizioni popolari”